La stampa 3D può facilitare l’esplorazione dello spazio?
Fin dal XX secolo, l’esplorazione dello spazio è sempre stata nel DNA dell’uomo, per il suo desiderio di capire cosa c’è al di fuori del pianeta Terra. Importanti agenzie come la National Aeronautics and Space Administration (NASA) e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) sono attive nella conquista dello spazio, anche attraverso l’uso della stampa 3D: questa tecnologia di produzione ha reso possibile un gran numero di applicazioni, tra cui satelliti, tute spaziali, parti di razzi, ecc. Secondo SmarTech, il valore del mercato della produzione additiva nell’industria spaziale privata dovrebbe raggiungere i 2,1 miliardi di euro entro il 2026. La domanda che possiamo porci ora è: in che modo la stampa 3D potrebbe consentire all’uomo di occupare un posto più importante nello spazio?
Agli inizi, la produzione additiva era utilizzata principalmente in tre settori: medicale, automobilistico e aerospaziale. Veniva utilizzata soprattutto per applicazioni di prototipazione rapida o per la produzione di utensili. Ma nel corso degli anni, con l’aumento della disponibilità della tecnologia, il processo è stato finalmente utilizzato per i pezzi di uso finale. Con lo sviluppo delle tecniche di produzione additiva dei metalli, in particolare la tecnologia L-PBF, la stampa 3D ha iniziato a svilupparsi verso la fine degli anni ’90 anche nel settore aerospaziale. Ad oggi vengono utilizzate naturalmente anche altre tecnologie di stampa 3D per produrre parti di uso finale destinate allo spazio. Ad esempio, la tecnologia Direct Energy Deposition viene utilizzata per riparare o produrre componenti per l’industria aerospaziale; il Binder Jetting e l’estrusione di materiale sono soluzioni di stampa 3D altrettanto presenti. Inoltre, negli ultimi decenni si è assistito alla nascita di nuovi modelli di business, con aziende che puntano sulla produzione di stampanti 3D per progettare parti aerospaziali. Queste aziende hanno modellato la loro attività intorno alle tecnologie 3D. Tra queste, l’azienda statunitense Made in Space e l’ormai nota Relativity Space.
Le tecnologie 3D nel settore aerospaziale
Ora che le abbiamo presentate, diamo un’occhiata più da vicino alle diverse tecnologie di stampa 3D utilizzate nel settore aerospaziale. Innanzitutto, la produzione additiva dei metalli è la più diffusa nel settore, e come anticipato, la Laser Powder Bed Fusion è la più diffusa. Questo processo prevede l’utilizzo di una fonte di energia laser per fondere insieme le polveri metalliche, depositate strato per strato. Questo metodo è particolarmente utile per produrre parti piccole, complesse, dettagliate e personalizzate. La tecnologia DED viene utilizzata invece principalmente per la riparazione, il rivestimento o la produzione di parti personalizzate in metallo e, in rari casi, in ceramica.
La tecnologia Binder Jetting, invece, nonostante i suoi vantaggi in termini di velocità di produzione e basso costo, non consente di creare pezzi con elevate proprietà meccaniche, il che richiede fasi di rinforzo post-processing che allungano la fabbricazione del prodotto finale. La tecnologia di estrusione di materiale può essere altrettanto efficace nelle applicazioni spaziali, è importante notare, tuttavia, che non tutti i polimeri possono essere utilizzati nello spazio. Le plastiche ad alte prestazioni, come il PEEK, possono sostituire alcune parti in metallo grazie alla loro resistenza. Questo processo di stampa 3D è ancora il meno diffuso, ma potrebbe essere una risorsa importante per la nostra conquista dello spazio, attraverso l’uso di nuovi materiali.
Alla scoperta dei materiali spaziali
L’uso della stampa 3D nel settore aerospaziale è soprattutto un’opportunità per esplorare nuovi materiali e proporre alternative che potrebbero rivoluzionare il mercato. La maggior parte di questi sono metalli come il titanio, l’alluminio o l’inconel, ma nei prossimi anni potrebbe emergere un nuovo materiale: la regolite lunare. Si tratta di un tipo di polvere che ricopre la Luna, che l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha già utilizzato in combinazione con la stampa 3D. Advenit Makaya, ingegnere di produzione avanzata presso l’Agenzia Spaziale Europea, spiega: “La regolite lunare è come il cemento. È sabbia, composta principalmente da silicio e da alcuni elementi chimici come ferro, magnesio e alluminio. È composta anche da ossigeno”. Nel 2018 ha presentato i risultati delle sue prime impressioni con un simulante di regolite lunare. Questo imita le proprietà della vera polvere lunare. In collaborazione con Lithoz, l’ESA ha prodotto piccole parti funzionali come viti e ingranaggi. “La maggior parte dei processi su cui stiamo lavorando per sviluppare la produzione a partire dalla regolite lunare utilizza il calore.” – aggiunge Advenit Makaya – “Questo materiale è quindi compatibile con tecnologie come la SLS. Anche le soluzioni di stampa che utilizzano il processo di Binder Jetting funzionano con questo tipo di materiale. Lavoriamo anche con la tecnologia D-Shape. L’obiettivo di questa azienda partner è quello di mescolare il cloruro di magnesio con il materiale in modo che si combini con l’ossido di magnesio presente nel simulante per creare una parte solida“.
In termini di caratteristiche, questo materiale lunare consentirebbe di ottenere una risoluzione di stampa più fine. Secondo l’Agenzia Spaziale Europea, questo materiale ha la capacità di produrre parti con il massimo livello di precisione. Questo dettaglio sarebbe un vantaggio importante per ampliare la gamma di applicazioni e, in futuro, per la produzione di componenti adatti alle basi lunari.
C’è anche la regolite marziana, una polvere che si trova su Marte. Per il momento, le agenzie spaziali internazionali non hanno recuperato questa sostanza, tuttavia, questo materiale è presente in alcuni progetti aerospaziali. I ricercatori stanno utilizzando un simulante di questa sostanza e lo stanno combinando con una lega di titanio nella speranza di produrre strumenti o parti di razzi. Secondo i risultati, il materiale offre una maggiore resistenza e aiuta a proteggere le apparecchiature dalla ruggine e dai danni delle radiazioni. Non ci sono grandi differenze tra i due materiali, ma la regolite lunare rimane la più testata. Inoltre, grazie alla loro posizione, i pezzi possono essere prodotti direttamente sul posto. In questo modo si evita di portare nei razzi le materie prime dalla Terra. Questa sostanza rappresenta anche una fonte inesauribile di materiali, il che evita il prblema delle carenze.
Le diverse applicazioni della stampa 3D nel settore aerospaziale
A seconda della tecnologia 3D utilizzata, le applicazioni possono variare. Launcher, una start-up californiana, ha utilizzato la tecnologia di stampa 3D in metallo Sapphire di Velo3D per migliorare il suo motore a razzo E-2 Liquid. Il processo del produttore è stato utilizzato per creare la turbina dell’induttore. In dettaglio, la turbina e l’induttore sono stati stampati in 3D separatamente e le parti sono state poi assemblate. Questo componente è essenziale, poiché accelera e spinge il LOX (ossigeno liquido) verso la camera di combustione, fornendo quindi un maggiore flusso di fluidi e una maggiore spinta per il razzo.
La produzione additiva può essere utilizzata anche per produrre strutture su larga scala, come pale d’elica o serbatoi di carburante. Relativity Space lo ha dimostrato utilizzando la sua soluzione Stargate per creare Terran 1, un razzo quasi interamente stampato in 3D. Il Terran 1 è decollato il 23 marzo 2023, una pietra miliare per il settore che dimostra le grandi potenzialità del processo di produzione additiva.
Infine, la stampa 3D per estrusione consente di utilizzare materiali ad alte prestazioni come il PEEK, materiale termoplastico già testato nello spazio. I componenti realizzati con questo materiale sono stati collocati sul rover Rashid. Questo veicolo è stato a sua volta integrato in un razzo Falcon 9 nell’ambito della missione lunare degli Emirati con l’obiettivo di testare la resistenza del PEEK alle condizioni estreme della Luna. Il PEEK potrebbe quindi essere un’alternativa per sostituire le parti metalliche in caso di rottura o di carenza di materiali. Inoltre, questa termoplastica ad alte prestazioni rende anche i componenti più leggeri, un vantaggio prezioso per l’esplorazione extraterrestre.
I vantaggi della stampa 3D nell’industria aerospaziale
La stampa 3D è una tecnologia interessante che si distingue dalle altre tecniche di costruzione tradizionali, soprattutto per quanto riguarda il rendering finale delle parti. “Questa tecnologia rende le parti più leggere. Grazie alla libertà di progettazione, i prodotti stampati sono più efficienti e richiedono meno risorse. Questo, ovviamente, ha un’influenza positiva sull’impatto ambientale della produzione dei pezzi“, afferma Johannes Homa, CEO di Lithoz, produttore austriaco di stampanti 3D. Relativity Space ha dimostrato che la stampa 3D può ridurre il numero di componenti necessari per la produzione di un veicolo spaziale. Per il razzo Terran 1, sono state risparmiate 100 parti grazie alla produzione additiva. Inoltre, questa tecnologia offre un grande vantaggio in termini di velocità di produzione, infatti il razzo di Relativity Space è stato completato in meno di 60 giorni. In confronto, la costruzione di un altro razzo con metodi tradizionali può richiedere diversi anni.
In termini di gestione delle risorse, la stampa 3D, per definizione, permette di risparmiare materiali e in alcuni casi di riciclare rifiuti. Infine, la manifattura additiva sarebbe un’enorme risorsa per alleggerire i razzi durante il decollo e il viaggio nello spazio. L’obiettivo è massimizzare l’uso di materiali locali, in questo caso la regolite, e ridurre al minimo il trasporto di attrezzature nel veicolo spaziale. Sarà quindi possibile trasportare solo la stampante 3D, che sarà in grado di creare tutto sul posto una volta terminato il viaggio.
I limiti della stampa 3D nello spazio
Nonostante i vantaggi che la stampa 3D può offrire, la tecnologia è ancora nuova e può avere dei limiti. “Il problema attuale della produzione additiva nel settore aerospaziale è come controllare il processo e come validarlo“, afferma Advenit Makaya.
Da un lato, sulla Terra, i produttori del settore hanno accesso a laboratori dove ogni pezzo può essere testato per verificarne la microstruttura, la resistenza e l’affidabilità prima di essere convalidato attraverso il processo CND (controllo non distruttivo). Questo, oltre ad allungare i tempi di validazione del pezzo, è anche molto costoso. L’obiettivo finale è quindi quello di limitare questi test per ridurre i prezzi. È proprio su questo che la NASA sta attualmente lavorando. L’agenzia spaziale ha recentemente aperto un centro dedicato alla comprensione e alla rapida certificazione di parti metalliche realizzate con tecnologie di produzione additiva. Il sito mira a migliorare i modelli computerizzati dei prodotti utilizzando i gemelli digitali per aiutare gli ingegneri a comprendere le capacità e i limiti delle parti. In particolare, gli ingegneri potranno vedere quanto stress possono sopportare le parti prima di rompersi. In questo modo, il centro dovrebbe contribuire a promuovere l’uso della stampa 3D nel settore aerospaziale. Ciò consentirà di competere più efficacemente con le tecniche tradizionali utilizzate per la produzione di componenti per questo settore.
Se invece la produzione avviene nello spazio, il processo di verifica è diverso. Advenit Makaya dell’ESA spiega: “Esiste una tecnica che consiste nell’analizzare il pezzo mentre viene stampato”. Secondo lui, questo processo permette di vedere quale prodotto stampato sarà adatto e quale non sarà utilizzabile. A questo si aggiunge un sistema di autocorrezione per le stampanti 3D utilizzate nello spazio. Questa soluzione è in fase di sperimentazione su macchine in metallo. In dettaglio, la macchina sarebbe in grado di determinare in quale punto del processo di produzione c’è il rischio di un errore. Sarebbe quindi in grado di modificare automaticamente i parametri per correggere eventuali difetti del pezzo. Questi due sistemi migliorerebbero l’affidabilità dei prodotti stampati nello spazio. In definitiva, per convalidare una soluzione stampata in 3D, esistono degli standard elaborati dalla NASA e dall’ESA. Si tratta di un elenco di test da eseguire sul pezzo per determinare se il prodotto finale è affidabile, prendono in considerazione la tecnologia di fusione a letto di polvere e sono attualmente in fase di aggiornamento per altri processi. Tuttavia, anche la maggior parte dei principali attori dell’industria dei materiali offre questo tipo di tracciabilità, tra cui Arkema, BASF, Dupont e Sabic.
Vivremo nello spazio?
Sulla Terra sono sempre di più i progetti di case stampate in 3D. Grazie ai progressi del settore, ora possiamo chiederci se, in un futuro prossimo o lontano, questo processo potrebbe permetterci di vivere nello spazio. Per il momento, l’idea di vivere nello spazio è ancora un’utopia. Tuttavia, la costruzione di case, in particolare sulla Luna, sarebbe vantaggiosa per gli astronauti in missione nello spazio. Infatti, l’obiettivo di agenzie spaziali come l’ESA è quello di costruire cupole utilizzando la regolite lunare. “Con questo materiale possiamo costruire pareti come con il processo di estrusione del calcestruzzo sulla Terra. Possiamo anche crearle sotto forma di mattoni che verranno assemblati. L’idea è anche quella di proteggere gli astronauti dalle radiazioni”, spiega Advenit Makaya.
È inoltre importante notare che la regolite lunare è composta da circa il 60% di metallo e il 40% di ossigeno. Questo materiale è quindi vitale per la sopravvivenza degli astronauti, poiché rimane una fonte inesauribile di ossigeno, se viene estratto dal materiale. La NASA di certo è intenzionata a creare case sulla Luna. L’agenzia spaziale ha assegnato 57,2 milioni di dollari a ICON per sviluppare un sistema di stampa 3D per la costruzione di edifici lunari. Per quanto riguarda la vita su Marte, l’agenzia spaziale testerà Mars Dune Alpha, la sua prima casa marziana. L’agenzia sta nuovamente collaborando con ICON per sviluppare questa casa, che è stata collocata nel suo centro spaziale di Houston, in Texas. L’obiettivo è ospitare diversi volontari in questa casa per un anno. Saranno sottoposti alle stesse condizioni del Pianeta Rosso, per rendere l’esperienza più reale. In definitiva, questo test sarebbe un modo per determinare se vivere su Marte è possibile. Entro alcuni decenni, dovremmo essere in grado di costruire strutture stampate in 3D direttamente sulla Luna, il che sarebbe un piccolo passo per l’umanità, ma un grande passo per la conquista dello spazio. Marte potrebbe essere lo step successiovo.
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*Crediti foto di copertina: SEArch+